Oliver Stone tratta il tema della guerra della droga in Messico
Qualcuno sta camminando sul pavimento di quella che sembrerebbe una cantina, un sotterraneo, ne calpesta il suolo appiccicoso di sangue; ci sono degli uomini con le mani legate dietro la schiena, in un angolo una testa mozzata. Si capisce che la scena è stata ripresa amatorialmente, la vediamo sullo schermo di un computer. Un uomo la sta guardando assorto, ed anche una ragazza, al di sopra della sua spalla. “Iraq?” chiede lei chiaramente a disagio davanti alla snaturata crudeltà della scena . “Messico”, risponde l’uomo tra sé e sé, anche lui con tono spaventato.
Benvenuti nel nuovo film dell’uomo più eretico di Hollywood, anzi, di America: Oliver Stone. Quella descritta è la scena di apertura del suo nuovo film “Savages” e il breve scambio di battute tra l’uomo e la donna sono molto più carichi di significato di quanto possa apparire a prima vista.
Il film va visto con la stessa ottica di “Platoon” e “Nato il 4 luglio“, contributi fondamentali al tentativo dell’America di fare i conti con la catastrofe da lei stessa generata in Vietnam, solo che qui siamo in un paese a soli 20 minuti di cammino dal Texas attraverso il Rio Grande: è il Messico, e la guerra è quella del cartello della droga che fino ad ora ha reclamato 50.000 vittime, molte delle quali morte in circostanze atroci.
Nel film di Oliver Stone Ben (Aaron Taylor-Johnson), un mansueto e pacifico coltivatore di marijuana e il suo amico Chon (Taylor Kitsch), un ex Seal della marina statunitense, hanno messo su un rimunerativo business con l’erba migliore mai coltivata. La vita è idilliaca nel Sud California, fino a che una branca del cartello Messicano impone loro di fare società… ma sottovaluteranno il forte legame che c’è tra i due, e un losco agente della DEA che li ha affiancati. E la lotta scoppia selvaggia…
Tra gli altri interpreti, Blake Lively, Benicio del Toro, John Travolta. Nei cinema dal 25 ottobre.