Torna Jason Bourne, ma non fa scintille
Negli ultimi cinque anni Jason Bourne ha lasciato un segno indelebile come la spia tutta muscoli e cervello che soffriva di amnesia. Tutti e tre i film, emozionanti, cerebrali e stupendamente carichi di tensione, hanno fatto la storia del modo in cui dovrebbero essere fatti i film d’azione.
Il quarto episodio, per contro, ci insegna invece come non andrebbero fatti: in “The Bourne Legacy” non solo si fa fatica a seguire la trama, ma l’intero film è letteralmente sotterrato sotto un dialogo senza molto senso.
Non a caso Matt Damon, l’eccellente protagonista dei precedenti episodi ha saggiamente rinunciato all’occasione di riapparire, per lasciare il suo posto a Jeremy Renner (The Hurt Locker, The Avengers) nel ruolo ugualmente convincente di Aaron Cross, la spia biologicamente modificata a cui ora dà la caccia l’agenzia governativa che l’aveva creata.
Con l’operazione Outcome a rischio di venire alla luce, il suo creatore (Ed Norton) deve assolutamente eliminare ogni traccia della sua esistenza, principalmente eliminando Cross.
In poche parole, la formula non è cambiata affatto, ma la realizzazione sì… Per cominciare, per 3 buoni quarti d’ora non ci è dato capire il nocciolo della storia: mentre Cross vaga senza meta attraverso le zone selvagge dell’Alaska, ci ritroviamo un po’ troppe volte a Washington DC dove l’uomo di Norton sembra essere l’interprete principale di un altro film dove non fa che parlare di risorse di intelligence, emergenze di sicurezza nazionale e agenti sotto copertura.
Nel frattempo le cose si complicano in quanto Cross si allea con la Dr.ssa Shearing (Rachel Weisz) che fa parte del’operazione Outcome: insieme si metteranno alla ricerca della medicina di cui lui ha bisogno per rimanere vivo. O per lo meno, così sembrerebbe: il problema è che allo spettatore vengono propinate così tante informazioni – e in un linguaggio talmente complicato – che alla fine non si è affatto sicuri di cosa stia in effetti succedendo.
Per fortuna gli ultimi 20 minuti ci restituiscono un po’ del vecchio Cross, mentre lui e Shearing a Manila cercano di sfuggire alla caccia di un agente con sindrome da Terminator, incaricato di ucciderli. E’ l’unica volta che il film si anima veramente, ma vale la pena andarlo a vedere solo per quegli ultimi 20 minuti?